JESI – «Abbiamo apprezzato l’appello dei giorni scorsi della Direzione dell’AV2 in merito al fatto che, nonostante la pandemia e l’ospedale sempre più sotto pressione, le attività chirurgiche e ambulatoriali vanno comunque avanti: di tutto ciò bisogna dar merito a medici e infermieri che non si sono mai risparmiati. In merito però all’ appello dell’ASUR fatto ai cittadini di rivolgersi ai medici di famiglia per non intasare il Pronto soccorso, pur condividendo lo stesso, facciamo notare che in base alle segnalazioni ricevute spesso il cittadino non ha altra scelta». A parlare è il Tribunale per i Diritti del Malato: «Il paziente si vede costretto a recarsi al Pronto soccorso in quanto non trova sul territorio risposte alle sue preoccupazioni di salute, non è in grado di sapere se i sintomi che manifesta sono imputabili al covid – spiega il coordinatore Pasquale Liguori -. A tal proposito, continuiamo a ricevere segnalazioni di cittadini che si lamentano che il proprio medico di famiglia non va a domicilio. E allora che fa, disorientato? Prima si rivolge al privato per fare un tampone (che per altro “caro gli costa”) e poi se positivo va al Pronto soccorso per essere curato». Per Liguori tutto ciò finisce non solo per intasare la struttura ma mette anche a rischio «gli altri cittadini con i quali entra in contatto, favorendo cosi la diffusione del contagio». E aggiunge: «Non ci sembra questo il modo giusto di procedere per combattere la pandemia, per cui ci sentiamo di invitare il cittadino, in presenza di sintomi riconducibili al covid, ad insistere nei confronti del medico di famiglia affinché venga a domicilio per la visita, ricordando tra l’altro che nella convenzione con gli stessi medici vi è la disposizione che la visita a domicilio vada eseguita sempre se il paziente non è trasferibile. Nel caso, reputo che un paziente con febbre alta e altra sintomatologia connessa al covid, peraltro potenzialmente contagioso, non possa essere assolutamente considerato “trasferibile”».
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