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Gli Amici dello Zio Pecos, la band “folle” che esalta la normalità

MUSICA – L’intervista di Password oggi vuole portare all’attenzione il ruolo sociale della musica, nello specifico portato avanti da una band musicale di Osimo, ovvero Gli Amici dello Zio Pecos. Attivi sul territorio marchigiano e non solo dal 2006, il gruppo musicale è composto dal frontman Francesco Zagaglia (voce, chitarre, synth), Thomas Bellezze (voce e chitarre), Luca Pucci (voce e contrabbasso) e Nicola Emiliani (voce e batteria).

Con la realizzazione del loro terzo album “Dentro le cose” il gruppo musicale è riuscito a conquistare il “Premio del Pubblico” durante il prestigioso evento Musicultura 2019 a Porto Recanati. Quello che emerge dalle parole di Francesco Zagaglia, portavoce della band, è la volontà di quattro amici che, uniti da una passione trasformatasi in un progetto musicale, vogliono portare con leggerezza e piacere a galla temi di natura sociale spesso difficili da affrontare.

In particolar modo, questa volontà è emersa particolarmente nel loro singolo estratto “Merda”: un titolo provocatorio per una canzone che riesce a veicolare sensibilità, solidarietà e amore. Il videoclip ha visto come protagonisti e come tecnici operatori e utenti del Gruppo Sollievo di Jesi.

Salve Francesco, vorrei introdurre questa intervista partendo da una frase di Piero Cesanelli, direttore artistico di Musicultura, che ha detto di voi: «I Pecos hanno una dote che li distingue, appassionano».  Ma, nello specifico, con questo singolo, quale tipo di passione avete portato avanti? Quale messaggio vorreste che arrivi alla gente?

«Noi abbiamo un messaggio in generale che riguarda la passione, in ogni cosa che facciamo: crediamo molto nelle attività ricreative, come appunto la musica, e crediamo che queste attività abbiano più importanza di quanto si creda. L’uomo spesso si scontra nei temi importanti come l’economia, la politica, la spiritualità, però poi si imbatte invece in queste attività come un concerto che ricaricano “un po’ le pile” per così dire. Questa energia noi tentiamo un po’ di trasmetterla con la nostra musica, nei live, e Piero Cesanelli, che ci ha seguito, lo ha notato. Cerchiamo di alleggerire i discorsi, di trattare anche temi pesanti – nel caso di MERDA è la follia –  rendendoli spensierati. In MERDA, abbiamo voluto trasmettere il sentimento di non vergognarsi nel sentirsi diversi. La follia patologica, toccata con mano in occasione della realizzazione del videoclip, è in questo caso a un punto tale da dover essere curata, ma le problematiche sono quelle che in fin dei conti abbiamo tutti. Con il videoclip, ci siamo messi tutti su uno stesso piano, in modo da sentirci tutto quanti un po’ folli o tutti quanti un po’ normali».

Quindi è con questo approccio è<che  nato il videoclip di MERDA, il singolo estratto dal vostro terzo album “Dentro le cose”.

«Erasmo da Rotterdam distingueva tra due tipi di follie: una più giocosa e quella proprio clinica. Noi con MERDA parliamo della follia come una voglia di evasione, poi però confrontandoci con un regista abbiamo pensato di trattare anche l’altra faccia della follia, quella tosta».

Voi trattate un tema di cui di solito si tende a non parlare  o a lasciare in disparte. Il videoclip è stato girato con utenti e operatori del Gruppo Sollievo, un Dipartimento di Salute Mentale dell’Area Vasta 2: come hanno reagito alla proposta?

«Sì, abbiamo deciso di trattare un punto diverso della follia  o se vogliamo anche dell’amore: vista da un’altra chiave di lettura, il brano può anche essere visto come rivolto a una donna. Abbiamo pensato di unire le due tematiche, dando voce alle persone che spesso non ce l’hanno, e così nasce il progetto di girare il videoclip con il Gruppo Sollievo, tramite un contatto che avevamo. Ci siamo divertiti un mondo, e ci siamo tutti sentiti alla pari.  Gli operatori hanno capito il nostro spirito, il nostro vero interesse. Con loro e con gli utenti ci siamo presi molto soprattutto sul lato umano: il videoclip è stato realizzato in due giorni. Ma prima abbiamo preso tempo per parlare, riflettere e a volte sono emersi temi leggeri, altre volte più seri. Negli attori abbiamo notato una spontaneità incredibile, difficile anche per attori professionisti. Abbiamo sfruttato le loro attitudini e interessi personali: non solo attori ma nel backstage altri sono diventati tecnici delle luci, altri del suono, c’era chi leggeva poesie e ci sono stati momenti di spensieratezza molto piacevoli. C’è un mondo, una ricchezza in ogni persona: questo ci ha stupito e colpito. Ognuno ha contribuito con un’idea: alcune, ma poche, sono state scartate, mentre altre, come lo sceneggiare la storia d’amore, l’elemento dei palloncini, le troverete tutte nel nostro videoclip».

Il testo della vostra canzone recita: “Mi porti con te benedetta follia! Un’incantevole anestesia. Regno dove sono il Re dei matti da legare.” Qui la malattia mentale è vista come una visione alternativa e illuminante del mondo: è proprio questa visione nuova che vi ha fatto conquistare il pubblico e quindi, vincere il Premio a Musicultura?

«Questo punto è stato colto in pieno: anche se a Musicultura questa canzone non era nel palinsesto, è un po’ il messaggio universale della nostra musica.

Noi abbiamo visto un lato positivo nella follia patologica che di per se’ potrebbe sembrare negativa: a volte è un segnale di rifiuto del mondo. Può essere vista come un’arma per essere se’ stessi nel mondo, come lo si vuole, a discapito di quella che viene definita normalità. Cercando di muoverci con sensibilità nel trattare un tema così delicato, il nostro messaggio è quello per tutti di non vergognarsi ad essere come si è».

Rispetto ai precedenti album, “Dentro le cose” è un po’ una maturazione del vostro percorso musicale: quanto dei precedenti album è ancora presente in questo?

«È vero, i precedenti album erano abbastanza immaturi, più giocosi. I temi erano sbarazzini, ancora acerbi anche nel testo, non c’era un vero e proprio filo logico all’interno dell’album. Abbiamo iniziato nel nostro progetto da giovani, non c’era molta professionalità. Ora invece anche i suoni hanno una loro coerenza, è stato introdotto il sintetizzatore: sono cambiati i suoni, il nostro modo di approcciarci alle canzoni. Ma quello che non è cambiato secondo me è stato il modo di affrontare tutto con leggerezza, di cercare di abbassare i toni: non con superficialità, ma selezionando anche parole non crude, cercando di divertirci. Siamo un gruppo di amici, e viviamo la musica come un mondo da vivere in maniera spontanea e felice».

A cura di Giovanna Borrelli

Tags: Zio Pecos
Giovanna Borrelli

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