JESI – “E tu, Betlemme, città della Marca, non sei la più piccola tra i luoghi del nostro cammino. Da te infatti è uscito il principe dell’Impero Romano, chiamato a reggere e a proteggere il tuo popolo e a sottrarlo dal sottostare a mani estranee”.
Scriveva così Federico II nel suggestivo appello a Jesi, datato 1239, quando, a seguito della scomunica papale, l’Imperatore tentava di riconquistare le città marchigiane e, in particolare, la sua città natale, esortandole a ribellarsi al giogo della Chiesa e a schierarsi dalla sua parte.
“Jesi, nobile città della Marca“, la definisce lo Stupor Mundi, “incisa nella mente e profondamente radicata nel cuore”. È la città a sua volta non dimenticò mai il suo Imperatore: nè allora, quando si schierò a suo favore, ottenendo così il privilegio di indipendenza e sovranità da Re Enzo, figlio di Federico; nè oggi, tantochè scuole, associazioni e perfino attività commerciali vengono battezzate con il suo nome; al punto che è stato realizzato un Museo multimediale nella piazza in cui è nato. E anche una statua, fuori dalle mura. C’è voglia di Federico, della sua presenza e tangibilità. La città lo invoca e rinnova nella quotidianità lo storico legame con l’Imperatore, che è parte della sua identità. Fa discutere Federico, divide e spacca l’opinione pubblica, allora come oggi: se prima era motivo di scontro era tra guelfi e ghibellini, oggi si discute sulla posizione della statua a lui dedicata o sull’appellativo di “città regia”, al confine tra storia e leggenda. Un titolo che attualmente è oggetto di una mozione e che potrebbe diventare ufficiale, se approvato in sede di Consiglio comunale. E anche se non esistono documenti storici sul conferimento di tale riconoscimento, come argomenta Marco Torcoletti nel suo Corsivo, esso poggia su “di un sentimento antico, su di un orgoglio civico a metà tra la leggenda, quella della fondazione ad opera del mitico re Esio, e la storia, quella dei natali di Federico”.
Chiara Cascio
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