Mamma e bebè colpiti dal covid: «É stato terribile ma ce l'abbiamo fatta» | Password Magazine
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Mamma e bebè colpiti dal covid: «É stato terribile ma ce l’abbiamo fatta»

Monica Mancini e la sua famiglia: il piccolo Nicolò e il compagno
FABRIANO – «Il covid è davvero terribile, abbiamo rischiato molto ma ce l’abbiamo fatta». Sono le parole di una giovane mamma di Fabriano, Monica Mancini, dipendente in una RSA, che ieri sul suo profilo social ha voluto raccontare il calvario vissuto insieme al suo piccolino di soli 6 mesi.
Entrambi hanno avuto il virus e, dopo giorni difficili, sono tornati a casa dal papà.
«Sia io che il mio compagno abbiamo contratto il covid, probabilmente per il mio lavoro in RSA» spiega la donna. I coniugi, chiusi in casa, avevano i sintomi ma le loro condizioni non erano gravi.
«Abbiamo scartato i regali, abbiamo mangiato, anche se poco per l’assenza del gusto – continua la donna -. Ma la notte del 25 dicembre all’improvviso tutto cambia. Nicolò respira male, piange, lo prendo in braccio ma sta male, da mamma ne sono sicura. Chiamo la guardia medica, mi rispondono che non hanno DPI e quindi mi rivolgo al 118».
Arrivano i sanitari, «due persone straordinarie per fortuna, a cui sarò eternamente grata».
A questo punto Monica e il suo piccolo vengono trasportati al Pronto soccorso del Carlo Urbani di Jesi: «Ci sono altri malati Covid, tante urla – ricorda la giovane mamma – . Mi ritrovo da sola con Nicolò in braccio ormai da un po’, mi portano una barella dove appoggiarmi, aspetto. Arriva la pediatra che inizia a parlare di ospedale di eccellenza in Ancona e saturazione ballerina mentre Nicolò si dispera». Passano le 3 di notte, la donna pensa addirittura di andarsene perché il piccolo si stava agitando troppo. Difficile anche andare in bagno: «C’è n’è solo uno per i malati covid e sono costretta a lasciare mio figlio a un’infermiera, non posso portarlo lì dentro».
Poi finalmente arriva l’ambulanza che, a tutta velocità, porta mamma e piccino ad Ancona: «Tra sbalzi, il peso di Nicolò sopra di me e il Covid mi sento male, non respiro. Un operatore mi chiede se voglio l’ossigeno ma io riesco solo a passargli mio figlio prima di vomitare. Vedo nei suoi occhi la paura e poi il sollievo quando verifica che in realtà non era nulla di preoccupante e quindi può ripassarmi subito il bambino».
Arrivati in ospedale, entrambi vengono sottoposti a tampone: «Ci portano nel reparto Covid. È buio, tre persone tra cui un pediatra ci aspettano. Via di prelievi, misurazioni, ecografie e il bambino piange e piange…Devo addirittura tagliare il piedino di tutte le tutine intere che gli ho portato perché deve rimanere attaccato al saturimetro e quello è l’unico punto dove metterlo, ma questo è il male minore. Ci ritroviamo in un letto a dormire in due, per giorni. Isolati, possiamo comunicare con l’infermiera solo con un telefono».
Il piccolo piano piano recupera e riesce a mangiare, nei giorni successivi un’infermiera porta tutto il necessario. «Mi arriva anche il seggiolone da casa (nonni santi subito, dal momento che il mio compagno non poteva muoversi), ma non me lo fanno usare se non è un presidio ospedalieroprosegue la mamma  –
Di quei momenti ho deciso che ricorderò solo quanto, in caso di pericolo, le manine di tuo figlio ti cerchino e ti facciano sentire davvero mamma. Passano i giorni e tutto sommato cerchiamo di abituarci, con il piede scoperto, gli ematomi sulle braccia, la schiena spezzata, il peso in braccio. Poi alla fine ci dimettono».
Oggi mamma e figlio sono a casa, in attesa dell’esito dell’ultimo tampone:
 «Non so se saremo positivi o negativi, ma stiamo bene, stiamo insieme e questo mi basta, è la cosa più bella del mondo. Tutto questo per dire che il Covid fa paura ed è giusto così. Noi ce l’abbiamo fatta, il bambino dovrà fare dei controlli ma voglio essere positiva è spero nel meglio». E poi un’ultima riflessione, quale dipendente in una RSA: «In questi giorni ho perso pazienti che lasciano un grande vuoto…e pensare che ci saremmo dovuti rivedere dopo le feste. Quindi al diavolo tutti quelli che sono scettici, che “tanto è solo un’influenza”, che “tanto non me ne frega niente”.  Ho pensato molti giorni se raccontare tutto questo, e alla fine ho deciso di sì, perché credo che ognuno abbia il suo posto nel mondo».
A cura di Chiara Cascio 

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